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Lodi

Un gran fuoco da collezionisti.

Ascolta Lodi e la sua tradizione ceramica raccontate da Jean Blanchaert

Lodi è sulla guida “Le Città della Ceramica” pubblicata da Touring Club Editore e AiCC.
La guida è acquistabile in libreria e su Touring Club Store >

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lodi

Una tradizione artigianale ceramica esisteva già in età romana a Laus Pompeia.

 

Dagli scavi archeologici di Laus Pompeia (l’attuale Lodivecchio) è emerso un artigianato fittile proveniente dall’Etruria e dalla Magna Grecia, ma c’è anche una produzione locale, soprattutto di statuette votive e lucerne. I reperti sono esposti nella sezione archeologica del Museo civico. Il tardo medioevo a Lodi vede l’affermarsi dell’ornato in terracotta applicato all’architettura. Tra i decori più interessanti quelli rinascimentali dell’ospedale di Santo Spirito (oggi Ospedale vecchio) con le fasce in cotto del chiostro piccolo, della chiesa dell’Incoronata, e di palazzo Mozzanica il cui portale monumentale dalla struttura bramantesca con i busti clipeati di Francesco I e Bianca Maria Sforza, Gian Galeazzo e Isabella d’Aragona, si raccorda con la fascia a putti e girali che sottolinea lo stacco dei piani.

 

Nel XV secolo a Lodi la produzione ceramica d’uso quotidiano è ancora composta da terrecotte ingobbiate e sgraffite, decorate con la semplice gamma dei colori metallici in verde ramina, bruno di manganese, blu zaffera dalle varie gradazioni, giallo antimonio e ferraccia. I soggetti, in genere popolareschi, sono delineati rapidamente con freschezza e originalità.

 

I documenti d’archivio raccontano la fama delle ceramiche lodigiane per i secoli XVI e XVII. Doveva esistere una produzione di buon livello qualitativo, destinata principalmente all’esportazione come si può dedurre dal rinvenimento di numerose lamentazioni circa gli alti dazi sulle maioliche “estratte” (secondo il linguaggio del tempo) dalla città. Documenti del 1525 attestano di un certo Alberto Catani che dopo essersi qualificato come “bochalaro” offre la sua mercanzia al marchese Gonzaga di Mantova per la residenza di Marmirolo definendola “porcelana”, il termine, benchè improprio, indica una produzione di alta qualità. Anche per il XVII secolo le fonti, esclusivamente documentarie, riportano la fama e l’apprezzamento delle maioliche di Lodi nel Nord Italia. Nella seconda metà del Seicento inoltre fiorisce l’attività della fabbrica Coppellotti una delle fornaci lodigiane di cui conosciamo soltanto la pregiata produzione settecentesca. Il secolo aureo delle maioliche lodigiane è proprio il XVIII. In controtendenza rispetto alle altre attività artigianali della città il numero delle fornaci aumenta da 4 a 5, vengono introdotte nuove tecniche di decoro (il piccolo fuoco) con le raffinatezze barocchette molto diffuse oltralpe e il commercio è in espansione.

 

La fabbrica che Giovanni Coppellotti fonda nel 1641 e che durerà, condotta da figli e nipoti fino al 1787, è nota per la leggerezza e il delicato equilibrio delle forme oltre che per l’originalità dei decori. Altrettanta accuratezza è nella produzione della fabbrica Ferretti, fondata da Simpliciano nel 1725 e condotta dalla metà del secolo dal figlio Antonio che porterà alle stelle la fama della ceramica lodigiana grazie al nuovo sistema di cottura a piccolo fuoco. Tra le più raffinate, per forme e decori, si segnalano le maioliche di Giorgio Giacinto Rossetti, ceramista piemontese che lavorò a Lodi per alcuni anni (1729-1736), collaborando con le maggiori fabbriche della città e successivamente aprendo per breve tempo con il fratello Giovanni Battista una fabbrica in società con un certo Tavazzi.

 

L’ornato blu di Delft, ampiamente diffuso in Francia dalla copiosa produzione di Rouen, è uno dei decori caratteristici della produzione lodigiana a gran fuoco. Con i Coppellotti giunge a grande finezza, superata soltanto dalla mano abilissima di G. G. Rossetti, che spesso utilizza questo ornato per incorniciare i suoi famosi paesaggi miniaturistici.

 

La tecnica di cottura a piccolo fuoco giunta a Lodi nella fabbrica di Antonio Ferretti dopo la metà dei Settecento, permette di introdurre il decoro floreale che ancora oggi identifica l’antica ceramica lodigiana.