Ascoli Piceno
La vitalità delle maioliche dei Monaci.
Ascolta Ascoli Piceno e la sua tradizione ceramica raccontate da Jean Blanchaert
Ascoli Piceno è sulla guida “Le Città della Ceramica” pubblicata da Touring Club Editore e AiCC.
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L’industria ceramica nei tempi antichi non dovè mancare entro questa città, essendosi dissotterrati in più contrade di essa pozzi e fornaci con avanzi di vasi, di coppe lavorate al tornio, di lumi e di fusaiole letterate con la marca del fabbricatore.
Così don Emidio Luzi iniziava il suo breve saggio dedicato alla ceramica di Ascoli Piceno pubblicato nel 1889: un esordio dal tono tanto perentorio apriva dunque la vexata quaestio relativa ai primordi dell’industria ceramica nel capoluogo piceno, della quale ancora nel 1941 Cesare Mariotti negava l’esistenza, affermando che soltanto sul finire del Settecento, grazie all’opera dei monaci olivetani di Sant’Angelo Magno, avesse avuto inizio la produzione di manufatti ceramici.
Con l’uscita dei volumi di don Giuseppe Fabiani dedicati ad Ascoli nel XV e nel XVI secolo giungevano finalmente delle prove documentarie, reperite presso l’Archivio Notarile e quello Comunale, a confermare quanto scritto dal Luzi, e cioè che ad Ascoli fosse fiorita nel Rinascimento una prospera attività manifatturiera testimoniata dai ritrovamenti effettuati in alcuni scavi di fine Ottocento, dai bacini ceramici usati per decorare le facciate di alcune chiese cristiane e di alcuni reperti conservati presso la Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno.
Alla fine del Settecento, fu poi l’abate Malaspina, monaco olivetano, a dare vitalità alla produzione, avviando una fabbrica di maioliche nel Monastero di S. Angelo Magno.
L’iniziativa passò di mano a vere e proprie dinastie di figuli: come i Paci, che nel corso del XIX secolo – col capostipite Giorgio (1763-1811), i figli Luigi e Domenico e i nipoti Emidio e Giorgio – introducono soggetti nuovi soprattutto dal punto di vista pittorico: i paesaggi con rovine e la rosellina ascolana.
Notevoli sono i risultati raggiunti dai Paci nel campo della decorazione pittorica dei manufatti usciti dalle loro fornaci; i paesaggi con ruderi, torrioni, alberi, ponti e casamenti di carattere nordico sono sempre privi di figurine e li troviamo per lo più al centro di piatti mistilinei, di cestine baccellate, talvolta completati da decorazioni a finto marmo, ma più spesso da boccioli di fiori.
Caratteristici della manifattura ascolana sono i motivi floreali, con le rose violacee in bella evidenza, unite da altri semplici fiori di campo, spesso disposti a formare stilizzati bouquets e talvolta in tralci e festoni; destinata alle suppellettili e alle stoviglie più comuni, la rosa dei Paci è ottenuta con la cottura a “gran fuoco” e pur riecheggiando motivi trattati da altre manifatture, si caratterizza per il fare più disinvolto e corsivo. Numerosi oggetti di linea classicheggiante (come vasi ad urna, calamai, oliere) propongono eleganti cammei in rilievo desunti da modelli antichi, come le danzatrici ercolanesi o il ritratto di Antinoo, e vivaci festoni di foglie e frutti che risaltano sui fondi smaltati dei vasi. È frequente il ricorso all’imitazione dei marmi e delle brecce pregiate, ottenuti con impasti di argille differenziate, con mescolanze di ossido di manganese e di piccole parti di pasta di terraglia che danno origine ad una macchiatura di gradevole effetto per i toni ocracei dell’argilla naturale, per quelli bruno-violacei del manganese, per le rade e chiare venature della terraglia.