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Faenza

La città che ha dato il nome alla maiolica, faïence.

Ascolta Faenza e la sua tradizione ceramica raccontate da Jean Blanchaert

Faenza è sulla guida “Le Città della Ceramica” pubblicata da Touring Club Editore e AiCC.
La guida è acquistabile in libreria e su Touring Club Store >

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faenza

La ceramica a Faenza (Ravenna) vanta una tradizione plurisecolare che ancora oggi continua a rivestire.

La città, per la natura del territorio ricco di argille adatte alla foggiatura e per la strategica posizione geografica che ne faceva un punto d’incontro tra la cultura padana e quella toscana, seppe costituirsi come centro ceramico di primaria importanza sin dal Medioevo. I suoi vasai seppero sviluppare e perfezionare nel corso dei primi secoli dopo il Mille, su forme semplici e generalmente legate all’uso domestico, due importanti procedimenti tecnici per il rivestimento dei manufatti: la smaltatura e l’ingobbiatura.

 

Durante il periodo medievale gli ornati richiamano i repertori decorativi delle arti applicate (miniatura, stoffe); motivi vegetali stilizzati, come tralci con foglie o elementi floreali, oppure zoomorfi, come pesci e uccelli talvolta interpretati in chiave fantastica, ed anche araldici, spesso riferiti ad esponenti delle famiglie che caratterizzarono la storia della città. Durante il periodo Rinascimentale si svilupparono ornati derivati dal mondo bizantino, dalla cultura araba ed anche ispirati al Medio ed Estremo Oriente. Tra i vari ornati, si ricorda quello “ad occhio di penna di pavone” che la storiografia locale ottocentesca riteneva allusiva da parte dei ceramisti alla figura di Cassandra Pavoni, la donna amata da Galeotto Manfredi, signore di Faenza dal 1477 al 1488.

Tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, le maioliche ormai giunte al massimo della perfezione tecnica, vengono ornate da motivi ispirati alle porcellane orientali e soprattutto dalla figura umana che man mano assume grande risalto, come le “belle donne”, fino ad arrivare al gusto narrativo che viene chiamato “istoriato”, dove emerge uno stretto legame tra i maiolicari e i pittori.

 

Attorno alla metà del Cinquecento i maiolicari per dare un nuovo impulso ai loro prodotti ed introdurranno un genere oggi denominato “Bianchi di Faenza”, che vedrà protagonista la forma degli oggetti. Accanto alle forme usuali si affiancarono una variegata, e a volte stravagante, serie di forme ispirate sia ai modelli metallici. La decorazione sarà limitata a piccole figure, putti, stemmi, leggere girali vegetali, caratterizzati da una veloce realizzazione, appena schizzata o compendiata, chiamata “compendiario”. I “bianchi” e la maniera “compendiaria” incontrarono una tale fortuna da indurre i maestri faentini ad allargare i loro mercati cercando nuovi spazi di lavoro in altre città e paesi; abbiamo infatti testimonianza della loro attività a Torino, Verona Genova ed anche in Francia, Olanda e nell’Europa orientale. La fama dei “bianchi” fu tale che a partire dal XVII secolo, e ancora oggi, maiolica si dice “faïence”, francesizzazione di Faenza.

 

Nel 1693 nasce la Fabbrica dei conti Ferniani, che diventerà il cenacolo della vita artistica, centro di attrazione per i forestieri oltre che laboratorio aperto alle nuove tecnologie. Avviata inizialmente come continuazione dei modelli dei “bianchi” la fabbrica, verso la metà del Settecento, si ispirerà alle nuove mode in voga nelle manifatture europee e durante la seconda metà del secolo affiancherà ai tradizionali modi di lavoro anche la nuova tecnica del “piccolo fuoco” e l’adozione del nuovo prodotto ceramico, d’invenzione inglese, la Terraglia. Alla fine del XIX secolo, chiusa la Fabbrica Ferniani, la ceramica faentina attraversa una forte crisi produttiva. All’inizio del Novecento si vede la ripresa con le Fabbriche Riunite di Ceramica, che riattivarono le fabbriche ottocentesche sotto un’unica gestione, e la Fabbrica dei Fratelli Minardi.

 

Le officine faentine di inizio secolo, depositarie dell’antica arte della ceramica, furono terreno di nuove esperienze e centro di formazione per le nuove generazioni perché si perpetuasse non solo il patrimonio del saper fare ma anche trasmettere la passione dell’arte della ceramica. Passione e maestria che ancora oggi caratterizzano le botteghe ed atelier della città.

ph: Raffaele Tassinari