Oristano
In suburbium figulorum.
Ascolta Oristano e la sua tradizione ceramica raccontate da Jean Blanchaert
Oristano è sulla guida “Le Città della Ceramica” pubblicata da Touring Club Editore e AiCC.
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Tra i ritrovamenti più significativi di ceramica oristanese ci sono i reperti (locali e d’importazione) scoperti all’interno del monastero di S. Chiara. Le testimonianze più antiche risalgono al XIII-XIV secolo e testimoniano la continuità dell’attività ceramica nel territorio oristanese tra l’antichità e il periodo alto-medievale. I reperti sono invetriati e sono generalmente decorati con la tecnica dello stangiu, una coperta di ingobbio e vetrina. La caratteristica principale della ceramica di Oristano, presente ancora ai nostri giorni, è la coloritura in verde o giallo talvolta supportata da ingobbio .
Nei secoli XIII e XIV, la produzione si concentra sulle stoviglie per la mensa come scodelle, coppe, piatti, coppe, fiasche ecc. Nel XV secolo si introducono nuove forme (piattelli e forme chiuse) e una nuova tecnica decorativa, la coperta vetrosa chiazzata di verde e giallo sull’ingobbio bianco, che darà il nome alla “brocca pintada”, il pezzo più prestigioso della ceramica di Oristano. Tra le forme più caratteristiche di questa ceramica ci sono la “brocca della Sposa”, tipica delle classi abbienti, ricca di ornamentazioni plastiche, e “Su Cavalluccio”, collocato sui crinali dei tetti, con funzione propiziatoria e di rappresentanza. La produzione oristanese per eccellenza è però il caratteristico vaso per l’acqua, in particolare quello a due anse in verde e giallo.
Alla fine del XV secolo risale l’indicazione del primo “congiolargio” (voce di origine spagnola che definisce i ceramisti fin dal XV secolo) di cui si abbia notizia, Antiogo Siddi, mentre alla fine del XVI secolo è confermata l’esistenza del “suburbium figulorum”, il quartiere dei ceramisti, vicino alla chiesa di S. Sebastiano. La sua presenza è particolarmente notevole perché nel 1528 la popolazione era stata decimata dalla peste. In questo periodo, si ha notizia di tre “figoli” oristanesi: Sebastiano Nonni (1591), Miquel Llija (1592) e Antonio Orrú.
Tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, l’attività ceramica a Oristano conosce un grande sviluppo. Le ceramiche di questo periodo si differenziano dalla produzione precedente grazie all’uso dell’ingobbio: la vera novità di questo periodo è la tecnica dello “slip-ware”, decorazione ottenuta tracciando con l’argilla bianca motivi decorativi sul pezzo ceramico. Tra il 1600 e il 1634, sono attivi a Oristano almeno 85 congiolargi; tra i reperti che risalgono a questo periodo ci sono sia forme spagnoleggianti sia forme italianeggianti. Il 25 aprile 1692 viene approvato lo “Statuto degli Alfareros”, che, tra l’altro, stabilisce l’obbligo di non variare le forme originali e istituisce l’esame per gli apprendisti che intendono aprire una bottega.
Agli inizi del XVIII secolo proseguiva l’attività dei figoli nel borgo detto degli alfareri, che, agli inizi del XX secolo, prende il nome di Via Figoli.
Nel 1925, lo scultore Francesco Ciusa apre la Scuola d’Arte Applicata, che vanta una sezione ceramica, mentre nel 1957 nasce I.S.O.L.A., l’Istituto Sardo Organizzazione Lavoro Artigiano, finalizzato a promuovere lo sviluppo economico, tecnico e culturale degli artigiani in Sardegna. La presenza del locale Istituto d’Arte, fondato nel 1961, permette di conservare e far rivivere l’antica arte dei figoli oristanesi.