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Assemini

Strexiaius: i cortili per laboratorio.

Ascolta Assemini e la sua tradizione ceramica raccontate da Jean Blanchaert

Assemini è sulla guida “Le Città della Ceramica” pubblicata da Touring Club Editore e AiCC.
La guida è acquistabile in libreria e su Touring Club Store >

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I ritrovamenti delle prime ceramiche ad Assemini (Cagliari) risalgono al periodo punico nella zona di S.Andrea, ma i resti più importanti sono quelli riscontrati nella zona Sa Mura. In questa piatta zona alluvionale si evidenziano tracce di costruzioni al cui interno sono stati rinvenuti numerosi reperti ceramici molto utili per la ricostruzione del passato di Assemini. I reperti ritrovati sono vasi attici con decori in rosso, oppure interamente ricoperti di vernice nera, tutte opere di grande finezza. Accanto a questi esemplari, vi sono ceramiche locali puniche di uso comune ed esemplari che imitano prodotti di importazione. Tutti i frammenti risalgono a un periodo compreso fra la fine del V e il III secolo a.C.

 

Tra le tradizioni tramandate dagli antichi contadini, il mestiere del ceramista ricopriva un’importanza assai rilevante: infatti, tutto quello che si poteva realizzare con il tornio “sa roda” e le mani, con il sole ed il fuoco, in particolare “su strexu” (casseruole, scodelle, tegami, brocche, fiaschi, “tuvusu” e altro) resero Assemini un centro ceramico d’eccezione nella Regione. Il mercato privilegiato era Cagliari con un incremento di vendita in occasione delle feste paesane locali. Il luogo tipico di produzione delle ceramiche era il cortile, dove si trovavano il pozzo per l’estrazione dell’argilla, le vasche per la decantazione e la levigazione, il tornio, la tettoia per far essiccare i vasi e il forno a legna in mattoni crudi di forma cilindrica di derivazione orientale. Durante il medioevo, le corporazioni, dette “Gremii”, disciplinarono l’attività creativa e commerciale degli “strexiaus” con statuti e regolamenti, imponendo l’obbligo di non variare le forme e di non modificare i canoni fissati.

 

Tra il 1919 e il 1927 Federico Melis (Bosa 1891 – Urbania 1969) riprende la tradizione ceramica sarda, coinvolgendo nelle sue ricerche e sperimentazioni gli artigiani della zona. Melis fissò la sua dimora ad Assemini, perché lì erano ancora attivi i figuli che usavano la galena, la ramina e la ferraccio per rivestire con smalti le terrecotte d’uso. Il giovane ceramista si poneva il problema del processo di cottura nel forno sardo tradizionale, che determinava gli effetti di annerimento e bruciatura dovuti al contatto ravvicinato del fuoco al biscotto smaltato. Nel 1925, attraverso l’uso della muffola (cilindro di terra refrattaria dentro cui si mettono a fondere e calcinare le ceramiche) riesce a preservare le ceramiche smaltate dal contatto con la fiamma e fa costruire un forno ideato da lui . Nell’aprile del 1927 alla Fiera di Milano può finalmente portare ceramiche smaltate a gran fuoco di eccezionale bellezza. Le nuove opere raffigurano donne in preghiera, cavalieri e guerrieri, figure di spose nei loro costumi, fanciulle di Barbagia.

 

La produzione di Melis non era maiolica, ma era in realtà terraglia, facilmente confusa con la maiolica dell’ambiente sardo per il suo fondo bianco. La novità viene subito sfruttata per una produzione su larga scala, così inizia l’attività della Bottega d’arte ceramica di Assemini, punto di riferimento per gli artisti sardi, fino al suo trasferimento a Cagliari.

 

Attualmente ad Assemini, oltre ai manufatti tradizionali, si producono stoviglie ornamentali arricchite di figure e motivi naturalistici o geometrici in rilievo o a graffito.